Così l’Anonimo Autore , spettatore e cronista dell’epoca, descriveva
il tripudio della città di Barletta dopo la vittoria dei Tredici
Cavalieri italiani su quelli francesi, riportata nella storica Disfida
combattuta il 13 febbraio 1503, durante la guerra tra Francesi e
Spagnoli per il dominio sulle regioni del sud Italia. La grande storia
racconta che dopo il fallimento del Trattato di Granada – stipulato
segretamente nel novembre del 1500 – con il quale Francia e Spagna si
spartivano rispettivamente Campania e Abruzzi e Puglia e Calabria, gli
scontri fra le parti avverse s’intensificarono sui suoli di guerra, di
cui Barletta era uno degli epicentri. E fu proprio in una di queste
violente scaramucce che gli Spagnoli, sotto il comando di Diego de
Mendoza, catturarono numerosi Francesi fra cui Charles de Tongue,
detto Monsieur de La Motte. Ancora l’Anonimo Autore di Veduta racconta
che la sera seguente la cattura, il 15 gennaio 1503, il Gran Capitano
Consalvo da Cordova diede un banchetto nella cantina del palazzo
requisito a una nobile famiglia barlettana – quartier generale
spagnolo dove alloggiava anche il capitano don Diego de Mendoza - al
quale parteciparono anche i prigionieri francesi. In quella che la
tradizione riferisce essere l’Osteria di Veleno o la Cantina del Sole
e che oggi è ricordata come la Cantina della Sfida – mentre i
convitati parlavano di fatti d’arme, La Mottaccusò di codardìa gli
italiani, difesi vivacemente da Inigo Lopez y Ayala, e lanciò loro
unasfida,chefu accolta dal nobile e valoroso capitano di ventura
Ettore Fieramosca da Capua Si può ragionevolmente ritenere che la
sfida fu provocata ad arte dagli spagnoli, assediati dai francesi e
quasi isolati in attesa di rinforzi e viveri, sia per tenere alto il
morale delle truppe che per ingraziarsi la simpatia degli italiani,
dei quali in quel momento erano oppressori.Ettore Fieramosca molto
probabilmente non era presente alla cena, ma fu contattato nei giorni
seguenti dai nobili italiani Prospero e Fabrizio Colonna, al servizio
degli Spagnoli, che formarono la compagine italianascegliendo fra i
combattenti più coraggiosi d’Italia.Lo scambio di lettere tra
Fieramosca, capitano di ventura italiano, e il cavaliere francese
Monsieur de La Motte, testimonia l’importanza che il combattimento
rivestiva per i protagonisti. Tutto fu programmato nei minimi
particolari, con scrupolo e finanche con puntiglio. Fu stabilita la
somma di cento corone per il riscatto dei prigionieri, il numero degli
sfidanti in tredici cavalieri con due ostaggi per parte, quattro
giudici e sedici cavalieri per testimoni. Sempre di comune accordo fra
le due parti, fu individuato il campo di battaglia in Contrada S.Elia,
territorio neutro fra Andria e Corato, appartenente a Trani, allora
sotto la giurisdizione di Venezia. La mattina del 13 febbraio, i
Tredici italiani, dopo aver ascoltato il discorso d’incitamento del
loro capitano (che si dice indossasse una sciarpa azzurra
beneaugurante, dono di Isabella d’Aragona) giurarono di difendere il
proprio onore e quello dell’Italia anche a costo della vita, e nel
pomeriggio infersero una sconfitta bruciante all’arroganza dei
francesi, in un’epoca in cui l’Italia era un insieme di stati e
staterelli subalterni e la Francia si avviava a diventare un moderno
stato nazionale. Fieramosca diede ulteriore prova di ardimento, ma
anche di lealtà: non approfittò dell’inferiorità tattica di La Motte,
disarcionato, ma scese da cavallo e gli diede il colpo di grazia a
terra. Dopo il combattimento i francesi – che non avevano portato con
loro il riscatto, convinti com’erano di uscire vincitori dal campo di
battaglia – furono condotti prigionieri a Barletta.Incontenibile fu la
gioia dei barlettani, che accolsero i loro eroi con ‘li fuochi per le
strade…’ Tutti fecero festa ai Tredici, dal popolo minuto al Sindaco,
ai consiglieri e ai priori. I preti del Capitolo della Cattedrale
portarono in processione la Madonna dell’Assunta, un’icona del ‘300 da
allora ribattezzata Madonna della Sfida, conservata ancor oggi nella
Cattedrale di Barletta.Barletta all’epoca era ricca e potente, sia sul
territorio costiero che nell’entroterra. Le vie della città
brulicavano di mercanti anche forestieri; vi erano alti casati
nobiliari; il suo porto era popolato da navi di Venezia, Trieste,
Ragusa; le sue piazze ospitavano i commessi di Piero de’ Medici e
mercanti di ogni regione mediterranea.